Giustizia più veloce: calano le pendenze civili e penali nel IV trimestre 2024

Il IV trimestre del 2024 si chiude con un dato incoraggiante per la giustizia: prosegue la riduzione delle pendenze nei settori civile e penale rispetto al trimestre precedente. È quanto emerge dall’ultimo monitoraggio nazionale sull’andamento dei procedimenti pendenti e dell’arretrato, aggiornato trimestralmente dal Ministero della Giustizia.

Il report distingue tra pendenze – ovvero i procedimenti ancora aperti alla fine del periodo di riferimento – e arretrato, che comprende i fascicoli non definiti entro i tempi previsti dalla legge per una “durata ragionevole” del processo (3 anni in primo grado, 2 anni in appello, 1 anno in Cassazione), detti anche procedimenti a “rischio Pinto”.

Nel settore civile, i procedimenti pendenti sono stati 2.789.696. Si tratta di un dato in crescita del 2,4% rispetto al 2023, nonostante una tendenza decrescente costante dal 2011. Questo aumento, spiegano gli analisti, è attribuibile soprattutto all’incremento delle iscrizioni presso i Giudici di pace, in particolare per le cause di tipo monitorio.

Tuttavia, sul fronte dell’arretrato civile si registrano progressi significativi: -13% in Corte di Cassazione, -12% in Corte di Appello e -17% nei Tribunali. Una tendenza che lascia intravedere un miglioramento nella capacità del sistema giudiziario di smaltire le cause più datate.

Ancora più netta è la riduzione nel settore penale: le pendenze totali diminuiscono del 5,9% rispetto al 2023, raggiungendo quota 1.156.268 fascicoli, il livello più basso mai registrato dal 2003.

Guarda qui tutti i dati del monitoraggio


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Catasto 4.0: voltura digitale e archivi online, addio alle code agli sportelli

Addio modulistica cartacea e lunghe attese negli uffici: il Catasto fa un passo decisivo verso la digitalizzazione con due nuovi servizi online appena attivati dall’Agenzia delle Entrate. Da oggi è infatti operativo “Voltura catastale web”, lo strumento che consente ai cittadini – o ai loro delegati – di presentare direttamente online le richieste di voltura e versare contestualmente le somme dovute.

Accessibile tramite area riservata del sito dell’Agenzia, utilizzando credenziali SPID, CIE, CNS o le credenziali specifiche dell’Agenzia, il servizio guida l’utente passo dopo passo nella compilazione della dichiarazione e rilascia una ricevuta che certifica la presentazione della domanda, il controllo e l’accettazione dei documenti allegati, oltre all’avvenuto pagamento dei tributi. Questo nuovo strumento andrà gradualmente a sostituire il vecchio software “Voltura 2.0 – Telematica”, che resterà operativo fino a nuova comunicazione.

In parallelo, debutta anche la “Consultazione registro partite catastali”, altro servizio telematico pensato per rendere accessibili i vecchi registri cartacei utilizzati per identificare i beni immobili intestati a una singola persona o ente. Questi archivi, ormai fuori uso ma fondamentali per ricerche storiche, sono stati digitalizzati e ora possono essere consultati online senza recarsi fisicamente agli uffici catastali.

Un passo avanti importante per semplificare le pratiche, migliorare l’accessibilità e valorizzare il patrimonio documentale del Paese: il catasto diventa sempre più digitale, trasparente e vicino ai cittadini.


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Divorzio, sì all’assegno per la ex: la dedizione alla famiglia pesa più della condivisione

ROMA – Anche se il marito ha condiviso l’impegno nella crescita dei figli, la moglie ha diritto all’assegno divorzile se, per tutta la durata del matrimonio, si è dedicata esclusivamente alla famiglia, rinunciando a costruirsi un’autonomia economica. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 9989/2025, respingendo il ricorso di un uomo che contestava la decisione della Corte d’appello di condannarlo a versare 500 euro mensili alla ex moglie.

Il caso ha tratti peculiari: durante la separazione consensuale, il figlio minorenne era stato collocato presso il padre, che si era fatto carico interamente del suo mantenimento. Entrambi i coniugi, all’epoca, avevano dichiarato di essere economicamente autonomi e avevano rinunciato a ogni forma di contributo reciproco. Nonostante ciò, l’uomo aveva continuato a inviare alla moglie somme consistenti, tra i mille e i duemila euro al mese.

Diversi anni dopo, l’uomo ha chiesto il divorzio, sostenendo di non poter più permettersi alcun sostegno economico, dopo il tracollo della propria attività imprenditoriale. Ha inoltre fatto presente che la ex moglie aveva ricevuto un immobile in donazione e lo aveva rivenduto, ottenendo un profitto significativo.

La Corte d’appello, però, ha accolto il ricorso della donna, sottolineando che per oltre 26 anni non aveva mai lavorato, dedicandosi completamente alla cura della famiglia in un accordo condiviso con il marito. La sua mancanza di reddito, unita alla differenza patrimoniale esistente, giustifica – secondo i giudici – l’assegno in chiave compensativa e perequativa: non solo come aiuto economico, ma come riconoscimento del contributo dato all’intera vita familiare e al benessere comune.

La Cassazione ha confermato: l’impegno educativo del marito non annulla il fatto che la moglie abbia sacrificato ogni prospettiva lavorativa per il bene della famiglia. E, di conseguenza, resta valido il diritto a ricevere un sostegno economico al termine del matrimonio.

Il ricorso dell’ex marito è stato giudicato generico e carente di elementi decisivi. Inoltre, le sue contestazioni non sono state presentate tempestivamente nel corso del giudizio. Il criterio compensativo, spiega la Suprema Corte, non può essere aggirato solo perché anche il marito ha avuto un ruolo attivo nella vita familiare.

Un messaggio chiaro: nei divorzi, il valore del lavoro domestico e dell’impegno familiare non può essere messo in secondo piano. Anche senza uno stipendio, chi ha rinunciato alla carriera per la famiglia ha diritto a un riconoscimento concreto.


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Guida in stato di ebbrezza con incidente: niente lavori socialmente utili

ROMA – Nessuna possibilità di evitare la pena detentiva e pecuniaria con il lavoro di pubblica utilità se si provoca un incidente alla guida in stato di ebbrezza. A ribadirlo, ancora una volta, è la Corte di Cassazione, che con la sentenza n. 13150/2025 conferma l’orientamento già consolidato: l’aggravante legata all’incidente stradale preclude ogni possibilità di sostituzione della pena.

La vicenda al centro del verdetto riguarda un uomo condannato per guida in stato di ebbrezza ai sensi dell’art. 186 del Codice della Strada, dopo aver causato un sinistro. Il tribunale di primo grado aveva concesso la sostituzione della pena con i lavori di pubblica utilità (Lpu), ma la decisione è stata impugnata dal Procuratore Generale di Bologna, che ha fatto ricorso in Cassazione denunciando la violazione della legge.

La Suprema Corte gli ha dato ragione, puntualizzando che l’articolo 186, comma 9-bis del Codice della Strada, consente la sostituzione con Lpu solo se il conducente non ha causato un incidente. E non importa se l’incidente non ha coinvolto altri o se la circostanza aggravante non ha inciso sulla pena finale: è sufficiente che ci sia stato un evento pericoloso che abbia interrotto la normale circolazione stradale.

Secondo i giudici, dunque, anche il più lieve degli incidenti, purché legato alla guida in stato di alterazione da alcol o droghe, esclude categoricamente l’opzione dei lavori socialmente utili. Una posizione, ormai ben radicata nella giurisprudenza, che mira a tutelare in modo più incisivo la sicurezza stradale e a sanzionare in modo severo condotte potenzialmente pericolose per la collettività.

Nel caso specifico, la Corte ha annullato senza rinvio la parte della sentenza che aveva disposto la sostituzione della pena con Lpu, confermando così che non è possibile alleggerire la sanzione in presenza dell’aggravante prevista dal comma 2-bis dell’articolo 186 C.d.S..


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Meloni frena sulle riforme-urto: stop alla Giornata per Tortora per non irritare le toghe

ROMA – Dietrofront calcolato del Governo sulla proposta di legge per istituire una giornata dedicata alle vittime di errori giudiziari, in memoria di Enzo Tortora. L’iniziativa, sostenuta da tempo da alcuni settori della maggioranza, viene silenziata su indicazione diretta di Palazzo Chigi. A confermarlo, con un intervento dai toni amari in Aula, è il deputato di Italia Viva Roberto Giachetti: “Non si vuole urtare la sensibilità dei magistrati, almeno fino al referendum sulla separazione delle carriere”.

L’indicazione è chiara: niente provocazioni fino al voto popolare, previsto per la primavera. Il governo Meloni adotta così una linea attendista, quella della “tregua armata” con la magistratura, evitando di alimentare tensioni che potrebbero ritorcersi contro la campagna referendaria. L’obiettivo? Non trasformare l’Anm (Associazione Nazionale Magistrati) in un “martire” politico agli occhi dell’opinione pubblica, soprattutto in una fase in cui la riforma della giustizia è sotto i riflettori.

Giachetti non le manda a dire: “Ci è stato detto chiaramente che non si vuole approvare questo provvedimento perché l’Anm è contraria. Ma nello stesso tempo – ha aggiunto con sarcasmo – il sottosegretario Mantovano può attaccare pubblicamente le toghe senza problemi. C’è una strana idea di coerenza in questo governo”.

La premier Giorgia Meloni, insieme al ministro della Giustizia Carlo Nordio, sembra voler tenere il punto su una linea diplomatica. Diverso l’approccio del sottosegretario Mantovano, che continua a sferzare pubblicamente i magistrati. Un doppio binario che riflette la delicatezza del momento: da una parte si cerca di evitare lo scontro frontale, dall’altra non si vuole rinunciare al messaggio riformista, almeno sul piano simbolico.

La proposta per commemorare Enzo Tortora non è la sola finita nel congelatore. Anche la riforma sulla custodia cautelare, i limiti all’uso dei trojan informatici, le direttive sull’azione penale, la commissione d’inchiesta sulla magistratura e la revisione della legge Severino sono state accantonate. Riforme care soprattutto a Forza Italia e ai garantisti, ma considerate troppo divisive in un momento in cui l’equilibrio tra poteri è politicamente delicato.

Il governo, per voce della sottosegretaria Matilde Siracusano, rivendica comunque un’azione concreta in ambito giudiziario: dall’abolizione dell’abuso d’ufficio alla stretta sulle intercettazioni, fino al recepimento della direttiva sulla presunzione d’innocenza. Ma ora, almeno fino al referendum, l’ordine è uno solo: non irritare i magistrati.

In gioco non c’è solo una riforma, ma l’intero equilibrio tra potere politico e potere giudiziario. E il governo Meloni ha deciso di giocarsi la partita più importante con calma, prudenza e qualche rinuncia.


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Guida e droga: il Tribunale di Pordenone sfida la nuova legge

PORDENONE – Il Tribunale di Pordenone, su richiesta della Procura, ha sollevato una questione di legittimità costituzionale destinata a fare rumore. Al centro del dibattito c’è la nuova formulazione dell’articolo 187 del Codice della Strada, modificato dalla Legge n. 177 del 25 novembre 2024, che ha eliminato il requisito dello “stato di alterazione psico-fisica” per configurare il reato di guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti.

Con un’ordinanza dell’8 aprile 2025, firmata dalla giudice Granata, il Tribunale ha messo nero su bianco i motivi della sua decisione: la norma così riformulata violerebbe i principi costituzionali di ragionevolezza, proporzionalità, uguaglianza (art. 3), ma anche quelli di tassatività e determinatezza dell’incriminazione penale (art. 25 co. 2), oltre al principio della finalità rieducativa della pena (art. 27 co. 3).

La critica più forte riguarda l’effetto “espansivo” della nuova norma: ora è sufficiente risultare positivi a una sostanza stupefacente per incorrere nella sanzione penale, senza più dover dimostrare uno stato effettivo di alterazione alla guida. Una trasformazione, secondo il Tribunale, che svuota la norma della sua funzione originaria di tutela della sicurezza stradale basata su un pericolo concreto, trasformandola in un reato di pericolo astratto, slegato da qualsiasi nesso causale tra l’assunzione della sostanza e l’effettiva compromissione della capacità di guida.

“È manifestamente irragionevole e iniquo – si legge nell’ordinanza – ritenere penalmente responsabile un soggetto solo in base alla positività a una sostanza, senza accertare se ciò abbia influito sulla sua capacità di guidare”. Il rischio, secondo il Giudice, è quello di punire anche chi, pur avendo assunto sostanze giorni prima, non presenta alcun sintomo né rappresenta un pericolo reale per la sicurezza stradale.

Il caso sollevato a Pordenone potrebbe aprire la strada a una revisione della norma a livello costituzionale, rilanciando il dibattito su come e quanto il diritto penale debba incidere nella sfera personale dei cittadini. Intanto, la parola passa alla Corte Costituzionale.


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Cosenza, processo Reset. Camera penale: “Difendere è un diritto, non un crimine”

Nel cuore del processo “Reset”, destinato a segnare un passaggio delicato della giustizia cosentina, si accende un nuovo fronte: quello che vede protagonisti non gli imputati, ma i loro difensori. Gli avvocati penalisti Cristian Cristiano e Vincenzo Guglielmo Belvedere sono stati infatti travolti da una polemica scaturita da un manoscritto firmato dal presunto boss detenuto Roberto Porcaro, diffuso in anteprima da un quotidiano online, in cui si mettono in discussione alcune scelte difensive operate nel corso del processo.

Nel documento, Porcaro – detenuto al 41 bis – critica la richiesta di acquisizione di un suo verbale da parte dei due legali, definendola “un errore grossolano”. Il manoscritto, sebbene ancora non ufficialmente acquisito agli atti processuali, è stato reso pubblico, alimentando sospetti e insinuazioni su una presunta malafede degli avvocati coinvolti.

La reazione dell’Avvocatura della Camera Penale di Cosenza è stata immediata e netta. In un comunicato dal tono fermo e deciso, il Consiglio Direttivo e il Presidente Roberto Le Pera, con il Segretario Gabriele Posteraro, hanno espresso pieno sostegno ai colleghi:

“È il tempo del processo mediatico, della giustizia del popolo e non in nome del popolo; del ‘Crucifige’ e non della sentenza. Ma a questa orda di inciviltà continua a fare da scudo la toga dell’Avvocato, libera, indipendente, assoluta protagonista della vera cultura della giurisdizione”.

La nota denuncia con forza la deriva giustizialista e la pericolosa esposizione mediatica di avvocati penalisti che, semplicemente, esercitano la loro funzione difensiva. Una funzione costituzionalmente garantita e fondamentale per l’equilibrio del sistema democratico.

Gli stessi Cristiano e Belvedere, in una nota congiunta, hanno risposto punto per punto alle affermazioni di Porcaro, spiegando che i verbali richiesti erano stati omissati nelle parti non rilevanti e che la richiesta era finalizzata esclusivamente a tutelare i propri assistiti, dei quali uno non era neppure conosciuto da Porcaro.

“È evidente che il dato istruttorio sia stato frainteso. L’intero collegio difensivo non ha mosso obiezioni, proprio perché ininfluente per gli altri imputati”.

Ma la questione non si ferma qui. I legali di Porcaro, Mario Scarpelli e Roberta Lucà, hanno a loro volta replicato, ritenendo “inaccettabile” che i colleghi abbiano, a loro dire, tentato di “screditare l’operato professionale” della difesa del boss.

Il caso, sempre più infuocato, riaccende un tema cruciale: la tutela dell’indipendenza dell’avvocato e la necessità di sottrarre la giustizia al tribunale dell’opinione pubblica.
Come sottolinea la Camera Penale:

“Se qualcuno pensa di colpire anche un solo avvocato, ricordi che dovrà colpirci tutti per farci indietreggiare. E quando ci avrà colpiti tutti, non ci sarà più nessuno a difenderlo”.

Il processo “Reset” continua, ma il vero banco di prova sarà ora per la libertà della difesa. Un principio che, se incrinato, rischia di trascinare con sé le fondamenta stesse dello Stato di Diritto.


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Addio a Papa Francesco, “voce degli ultimi”: le reazioni dal mondo della giustizia

ROMA – Un’ondata di cordoglio ha attraversato il mondo della giustizia e delle istituzioni italiane alla notizia della morte di Papa Francesco, avvenuta ieri, 21 aprile 2025. Diverse le voci che si sono levate per rendere omaggio a una figura che ha saputo incarnare, con coerenza e forza morale, i valori della pace, della giustizia e dell’umanità.

Il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha ricordato così il Pontefice: “Nella sua grande misericordia era molto sensibile alle sofferenze dei carcerati. Nel suo nome lavoreremo per rendere il sistema penitenziario sempre più umano”.

Commosso anche il ricordo dell’Unione Nazionale delle Camere Civili, che attraverso le parole del presidente Alberto Del Noce ha sottolineato come Papa Francesco abbia rappresentato “una voce autorevole e lucida in difesa dei più fragili”. Un richiamo profondo alla funzione costituzionale dell’avvocatura, ha aggiunto Del Noce, “nella consapevolezza che giustizia e umanità non sono valori astratti, ma azioni concrete”.

Anche l’Unione Camere Penali Italiane ha espresso il proprio dolore, rievocando con forza il legame del Pontefice con le persone private della libertà personale. “Il suo monito su come nella giustizia terrena i fili del bene si intreccino con quelli del male – si legge nella nota – resta un’eredità morale preziosa. Indimenticabile il gesto di aprire una Porta Santa nel carcere di Rebibbia, simbolo di speranza per i detenuti”.

Papa Francesco, anche nel suo ultimo Giovedì Santo, non ha voluto rinunciare a visitare i carcerati del Regina Coeli, nonostante le precarie condizioni fisiche. “Un gesto – sottolineano i penalisti – che richiama il valore universale della dignità della persona”.

L’AIGA, Associazione Italiana Giovani Avvocati, ha scelto di ricordare il Papa con le sue stesse parole: “Il vostro lavoro è di custodire la gente, custodire la giustizia. Delle volte a voi tocca il ruolo più brutto, ma bisogna andare avanti, sempre per cercare l’armonia e risolvere i conflitti”.

Infine, il messaggio dell’Associazione Nazionale Magistrati, che ha definito Papa Francesco “un uomo di pace, giustizia e umanità”. “Ha saputo dare voce alle istanze più alte di tutela della dignità umana – si legge nella nota – offrendo alla comunità internazionale un costante richiamo al rispetto dei diritti fondamentali”.

Nel ricordo unanime, Papa Francesco lascia un’eredità spirituale e civile che trascende i confini del Vaticano, toccando profondamente anche le aule dei tribunali, i penitenziari, e tutte le istituzioni impegnate quotidianamente nella tutela dei diritti.


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Colpi contro l’auto della madre del magistrato Galli, ANM: “Vile avvertimento mafioso”

FOGGIA – Alcuni colpi di arma da fuoco sono stati esplosi nella notte di sabato 21 aprile contro l’automobile della madre del sostituto procuratore della Repubblica di Foggia, Roberto Galli. L’auto era parcheggiata a pochi chilometri da Manfredonia. Fortunatamente, nessuno è rimasto ferito. Sul posto sono intervenuti i carabinieri, che hanno avviato le indagini per risalire ai responsabili del gesto. Al vaglio degli inquirenti anche le immagini di videosorveglianza della zona.

Roberto Galli è uno dei magistrati più impegnati nelle inchieste contro la criminalità organizzata nel territorio foggiano, da tempo sotto pressione per l’intensificarsi degli atti intimidatori legati al contrasto delle mafie locali.

Immediata la reazione dell’Associazione Nazionale Magistrati (ANM), che ha diffuso una nota ufficiale per esprimere piena solidarietà al collega: “Esprimiamo la nostra vicinanza al sostituto procuratore di Foggia Roberto Galli, vittima, nella scorsa notte, di un vile ‘avvertimento’ in stile mafioso, inutilmente finalizzato ad intimorire un magistrato intransigente e coraggioso, da anni impegnato, insieme ai colleghi della Procura e del Tribunale, nell’affermare la legalità in un territorio ferito da un fenomeno criminale che lo Stato è impegnato a contrastare con la massima determinazione”.

“La nostra solidarietà – conclude l’ANM – è anche un messaggio forte e chiaro: qualsiasi intimidazione ai danni della magistratura rappresenta una minaccia alla democrazia. Al collega Galli va tutto il nostro sostegno”.


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Addio ad Alessandro Pace, gigante del diritto costituzionale italiano

È morto a Roma, all’età di 89 anni, il giurista e avvocato Alessandro Pace, uno dei più autorevoli costituzionalisti italiani. Figura di riferimento nel panorama accademico e giuridico del Paese, Pace ha dedicato la sua lunga carriera allo studio e all’insegnamento del diritto costituzionale, approfondendo in particolare i complessi rapporti tra forma di Stato, forma di governo e diritti fondamentali, con un’attenzione speciale alla libertà di manifestazione del pensiero.

L’annuncio della sua scomparsa è stato dato dall’Associazione Italiana dei Costituzionalisti, della quale fu tra i fondatori, oltre che segretario del consiglio direttivo (1985-1988) e presidente (2006-2009). I funerali si terranno mercoledì 23 aprile alle ore 11:30 presso la chiesa di San Bellarmino, in piazza Ungheria a Roma.

Nato a Lanciano (Chieti) il 30 settembre 1935, Pace si laureò in Giurisprudenza all’Università di Roma nel 1957, formandosi sotto la guida di maestri del calibro di Carlo Esposito e Vezio Crisafulli. Dopo aver conseguito la libera docenza in diritto costituzionale nel 1967, vinse la cattedra nel 1972. Ha insegnato nelle università di Cagliari, Modena, Firenze e Roma “La Sapienza”, dove è stato professore ordinario dal 1990 e poi professore fuori ruolo dal 2007.

Direttore della rivista Giurisprudenza costituzionale dal 1999, e in precedenza condirettore con Leopoldo Elia, faceva parte di importanti comitati scientifici internazionali e ha esercitato la professione forense dinanzi alle supreme magistrature, specializzandosi in questioni costituzionali e in materia di libertà d’espressione e mezzi di comunicazione.

Relatore in numerosi convegni, autore di oltre 220 pubblicazioni — molte delle quali tradotte in diverse lingue — Pace lascia un’impronta indelebile nel mondo del diritto. Tra le sue opere principali figurano La libertà di riunione nella Costituzione italiana (1967), Il potere d’inchiesta delle assemblee legislative (1973), Problematica delle libertà costituzionali (1983), La causa della rigidità costituzionale (1995), I limiti del potere (2008) e molte altre.

Con la sua scomparsa, il mondo accademico e giuridico italiano perde un pensatore rigoroso e una voce autorevole nella difesa e nello studio dei principi costituzionali.


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